L’ultima cosa che vi voglio aggiungere alle “dritte” a proposito dei danni a terzi quando si porta fuori il cagnone, è il riferimento a una responsabilità penale, stavolta vera e propria, cioè non depenalizzata come quella dell’art. 672 cod. pen. che, ormai, va considerata come una semplice responsabilità amministrativa.
Ne accenno solo adesso perché non volevo suscitare esagerato allarmismo, tanto più che si tratta di un’ipotesi di responsabilità penale che tutti noi affrontiamo ogni volta che usciamo di casa e ci mettiamo, ad esempio, alla guida di un veicolo (ma anche quando andiamo a sciare o a fare un lavoro qualsiasi all’aperto).
Si tratta della responsabilità per il reato di lesioni colpose (artt. 590 codice penale), cioè per i danni fisici che -senza che ve ne sia stata alcuna intenzione- la nostra condotta disattenta o imprudente o inesperta, possa aver causato a terzi. Qui sono previste sanzioni non solo pecuniarie, ma anche detentive, di afflittività crescente, in proporzione alla gravità delle lesioni provocate.
Ovvio che il richiamo all’attenzione, alla prudenza e alle capacità, ci stia tutto anche nei confronti di chi conduce a spasso un grosso cane (non solo nei confronti di chi guida, scia o fa lavori in luoghi pubblici) e credo che tale richiamo possiate riconoscere, proprio nei tre suggerimenti che v’ho dato per il cane in passeggiata: guinzaglio, eventuale museruola e costante vigilanza a quel che si presenta intorno a voi.
Ciò detto è ora di entrare un po’ più nello specifico e di por mente a come salvaguardare l’incolumità dei terzi inoffensivi che, benaccetti dal proprietario, entrino nel territorio del vostro forte cane da guardia.
Sto parlando degli amici di chi abita in casa, dei manutentori, del postino, della suocera… e degli altri possibili e graditi visitatori occasionali. Tutti soggetti che non devono minimamente rischiare alcun danno, né alle proprie cose, né alla loro persona, da parte del cane, una volta che l’accesso alla proprietà gli sia stato consentito da parte di un qualsiasi dimorante.
Ovvio che chiunque abbia un qualunque tipo di cane, specie se di taglia medio-grande, è chiamato ad esercitare tutte le cautele atte ad evitare danni ai visitatori che comporterebbero, anche in questi casi, la stessa terna di possibili conseguenze da responsabilità civile (art. 2052 cod. civ.), amministrativa (art. 672 cod. pen.) e penale (art. 590 cod. pen.), che v’ho detto sopra. Tuttavia, nel caso di chi possieda un forte cane da guardia, potenzialmente pericoloso, nel suo territorio, per gli estranei, tali cautele dovranno essere esercitate con particolare diligenza.
Da ciò discende che un forte cane da guardia -indipendentemente dalla razza di appartenenza- non è un animale da tutti. E’ un compagno che tanto più è in grado di svolgere bene il suo compito, tanto più ha bisogno di un padrone consapevole, saggio ed equilibrato. Doti che, in egual misura, trovo esposte a parallelo pericolo di estinzione, nella gran parte dei cani comuni, come negli esseri umani.
Apro una parentesi etologica: chiunque abbia un minimo di esperienza cinofila sa che il cane non è un ragioniere, né si può puntare a farlo diventare tale mediante l’addestramento.
Quello della difesa del suo territorio è istinto atavico: è questo istinto che porta il cane a “fare la guardia”. Dunque, un cane equilibrato e naturale è istintivamente guardiano. Non ha bisogno di specifico addestramento per fare la guardia. Un addestramento alla guardia di un cane snaturato da quell’istinto (come ce ne sono a bizzeffe.. e sono oramai i preferiti dal grande pubblico), non darà mai risultati affidabili. Un addestramento “mitigatore” di un forte istinto guardiano, finirà, invece, col gettare il cane in confusione, compromettendone l’efficienza nel suo lavoro e non potrà, comunque, assicurare che il cane, se forte e determinato guardiano, si fermi istantaneamente a comando, come un soldatino.
A parte il fatto che si sono susseguite molte disposizioni a divieto dell’addestramento che esalti l’aggressività dei cani, questa parentesi etologica, mi serve per far capire una cosa: puntare sul (solo) addestramento per ottenere un guardiano da un cane “di peluche” o per controllare a comando un vero cane da guardia, non garantirà mai la piena sicurezza degli ospiti graditi.
Affinché questi non corrano alcun rischio, è bene, semplicemente, munirsi della possibilità di confinare facilmente ed efficacemente il guardiano, così da evitare il contatto accidentale tra il visitatore e i suoi denti.
Lui rimarrà diffidente verso tutti i non-dimoranti (perché tenuto sempre separato da loro); loro non rischieranno spaventi né danni.
Personalmente, ho avuto la fortunata possibilità che mi ha dato la conformazione del terreno compreso tra la mia casa e la recinzione esterna, di piazzare strategicamente un paio di cancelli che posso chiudere o tenere aperti, a mo’ di diaframmi, per poter utilizzare le porzioni di giardino che voglio condividere con gli ospiti, al riparo dai cani (una coppia di Pastori dell’Asia Centrale).
Questo sistema è facilmente e perfettamente gestibile anche dai miei ragazzi, che così possono ricevere liberamente i loro amici, in perfetta sicurezza.
Molto importanti, tra le cautele, sono quelle che occorre approntare a tutela degli estranei inoffensivi del genere “postino”. Il genere comprende tutte quelle persone che, pur restando fuori dalla recinzione, vi si avvicinano soffermandosi, magari toccandola per i più svariati motivi (tipo i bambini che passano per strada, le persone che abitano le proprietà confinanti, i loro giardinieri ecc.) Mi riferisco a tutte quelle barriere che siano conformate in modo da evitare che si possano introdurre mani o dita, a rischio morsicatura.
Qui occorre aggiungere la considerazione che, una volta approntate la cautele sufficienti ad evitare danni accidentali, ma prevedibili, se l’estraneo, sebbene inoffensivo e non malintenzionato, si sia messo nelle condizioni di superare dette barriere, per un comportamento volontario o anche solo imprudente o negligente tutto suo, la responsabilità su quel che gli può accadere col nostro cane sarà esclusivamente sua. Sto parlando di quegli ostinati personaggi (che a Ezio Maria piace chiamare “i San Franceschi”) che a tutti costi debbono cercare di toccare o carezzare o alimentare il cane da oltre la recinzione, sporgendosi, o introducendo un dito o una mano, magari dopo aver allargato le maglie della rete fitta. Altro esempio: chi scavalchi la recinzione per recuperare un oggetto di sua proprietà, accidentalmente finito nel nostro giardino, anziché suonare e chiederne normalmente la restituzione. Il forte cane da guardia, col suo stesso comportamento, normalmente dissuaderà chiunque da tali imprudenze. Tuttavia alcuni normali cartellini di “attenti al cane”, piazzati in modo visibile, saranno sufficienti come richiamo all’auto-responsabilità di chi pensasse di violare il perimetro, anche senza cattive intenzioni.
Tutto quanto sopra accennato, ovviamente, non garantisce affatto che nessuno possa farvi comunque causa o querelarvi per aver subito un danno dal vostro cane: chiunque resta arbitro delle sue azioni legali. Quanto ho detto farà semplicemente sì che azioni legali eventualmente intentate non abbiano serie possibilità di risultare fondate, all’esito del processo che ne seguirebbe.
In ogni caso sarà bene munirsi di un’adeguata copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi ed essere consapevoli che in nessun caso l’assicurazione pagherà sanzioni amministrative né potrà alcunché contro la responsabilità penale. Nemmeno coprirà i danni civili che venissero cagionati volontariamente (ad esempio nel caso in cui un conduttore abbia irresponsabilmente aizzato il vostro cane contro qualcuno).
Avete notato anche voi che, nonostante l’attenta lettura e rilettura di queste mie poche righe (note comprese), siete ancora titubanti nel trovare la risposta alle tre seguenti domande secche?:
ma insomma, adesso come adesso:
-
è vietato o no addestrare il cane alla guardia?
-
è obbligatorio o no stipulare un’assicurazione per la responsabilità civile relativa ai danni provocati dal cane?
-
è obbligatorio o no mettergli guinzaglio e museruola quando lo porto fuori?
Se lo avete notato, vuol dire essenzialmente tre cose: primo, che siete dei lettori attenti e riflessivi; secondo, che siamo in Italia; terzo che le rubriche legali di taglio generale, sono per lo più inutili.
Scherzi a parte, vi voglio dire una cosa: badiamo alle norme di legge. Le ordinanze ministeriali del tipo di quelle Sirchia, Turco e Martini, non lo sono. E infatti scadono: come lo yoghurt.
Pertanto, se guardiamo al contenuto di queste ultime, nessuna è più in vigore. Pertanto, la risposta alle vostre tre domandone, se guardiamo alle ordinanze ministeriali scadute, la risposta è:
-
no.
-
no.
-
no.
Tuttavia, se guardiamo alle norme di legge (gli artt. 2052 cod. civ.; 672 cod. pen. e 590 cod. pen., ricordate?), la risposta è che, comportandovi secondo il “no”, in caso di danni provocati dal vostro cane, sarete civilmente, amministrativamente e penalmente responsabili.
E allora, chiederete, a cosa servivano le ordinanze ministeriali sopra ricordate?
A-ah: questa è politica. Non me ne occupo. Chiedetelo un po’ a loro.
Tenete, infine, presente che anche i sindaci dei Comuni hanno un potere di ordinanza simil-ministeriale in queste materie da cani. Ooops, voglio dire, in materia di cani. E la esercitano. Altroché la esercitano! Non aggiunge niente alle leggi, ma fa cassa in caso di violazioni.
Quindi, per rispondere da altra prospettiva (quella delle ordinanze comunali) alle vostre tre domandone, vi dirò:
-
depénde.
-
depénde.
-
depénde.
E da che depénde? Ma dalle ordinanze vigenti nel vostro Comune, no?
E come si fa a conoscerle? Il modo più semplice è consultare il sito web che ogni Comune ormai ha.
Se no, mediante capatina alla casa comunale.
Per concludere, in questa come in tutte le attività dell’esistenza che ci pongano in relazione con gli altri, specie in quelle potenzialmente pericolose (come, per citare solo due esempi, guidare un’auto o tirar su un’impalcatura), occorre saper essere previdenti, nel senso etimologico del “saper vedere prima” il pericolo di incidenti, allo scopo di evitarli. Seguite questa regola di buon senso al massimo grado di cui siete capaci e, se non vi difettano maturità e intelligenza, sarete a posto anche con la legge.
L'abbaio del cane.... e i vicini
Ed eccoci, come preannunciato, alla trattazione giuridica di questa tematica.
Premesso che tutti i cani (chi più, chi meno) abbaiano e che i vicini sono (chi più, chi meno) generalmente maldisposti verso questo tipo di interferenze acustiche, va precisato subito che il cane da guardia utilizza l’abbaio anche in modo funzionale al suo lavoro (per allarme e come prima deterrenza). Dunque puntare alla totale repressione di tale istinto (mediante addestramento o altri sistemi più o meno barbari), a parte la dubbia efficacia, è controproducente per il lavoro stesso del cane.
Detto questo, io espongo come al solito una serie di informazioni giuridiche di base, che ritengo necessario corredino il bagaglio di conoscenze del buon proprietario di cane, specie se di un cane da guardia.
Occorre partire da un concetto essenziale: quello della “tollerabilità”. Concetto che riguarda tutte le categorie delle cosiddette “immissioni”. Sono immissioni le propagazioni di suoni, fumi, gas, scuotimenti o vibrazioni, perfino di miasmi odorosi, capaci di uscire dalla sfera di controllo di chi li produce e di “immettersi” (per l’appunto) nella sfera esistenziale di altre persone (che, come d’uso, chiameremo terzi).
Siccome è normale che le attività umane, produttive o di svago, generino immissioni, la legge non le vieta in modo assoluto. Vieta solo quelle che superino una certa soglia. La soglia, appunto, della “tollerabilità”, anzi, per essere più precisi (ma non poi tanto), della “normale tollerabilità”.
E qua ci imbattiamo in uno dei tanti esempi di quella quota di genericità che rende il diritto vago, ma, al tempo stesso, praticabile. Vago perché privo di dati prefissati e stabili (dunque incerto). Praticabile perché proprio grazie a questa indeterminatezza può adattarsi alla incatalogabile vastità dei casi concreti che esso deve, in ogni caso, regolare.
D’altronde, senza questa certa vaghezza, a che servirebbero giudici e avvocati? (occhio che lo dico senza -tanta- ironia: nel senso che sono soggetti indispensabili alla applicazione concreta del diritto).
Dunque la “normale tollerabilità” o la “tollerabilità media”, serve a consentire che le attività dell’agire umano, anche se fonti di rumori, scuotimenti e odori, possano svolgersi al riparo dalle obiezioni di terzi particolarmente insofferenti o irritabili, cioè, affetti da una soglia di intolleranza a loro volta abnorme, perché troppo bassa.
Avete già capito, quindi, che il vicino il quale, unico fra tutti gli altri, si lamenta dei latrati del vostro cane, per ciò stesso, con ogni probabilità, si porrà al di sotto della soglia di normale tolleranza. Viceversa, se la maggior parte dei vostri vicini non fa che lamentarsi dell’abbaio del vostro cane, beh… allora avete entrambi un problema. Anche se… potrebbe anche darsi che non sia proprio così: vedete, il diritto non è matematica e la sua applicazione non potrà mai corrispondere ai canoni di una scienza esatta, sicché la tanto agognata “certezza del diritto” non è che un mito e tale resterà. Un esempio? Torniamo al caso che sopra ho scritto in corsivo: un buon giudice non è lì per accontentare le maggioranze (quello lo fanno i giudici elettivi...). Così, potrebbe benissimo dar ragione a quell’unica persona che si lamenta se… è l’unica che abita abbastanza vicino da subire il maggior fastidio. E potrebbe dar torto alla maggioranza dei vostri vicini se scopre che ce l’hanno con voi non tanto perché il vostro cane abbaia, ma per qualche altro motivo e puntano semplicemente a farvi sloggiare.
Ma forse è meglio dare uno sguardo alla normativa che, anche in questo caso, può riguardare tutti e tre i settori della possibile responsabilità del proprietario/custode del cane.
- In ordine alla responsabilità penale, la norma è quella dell’art. 659, I° comma, codice penale, che punisce con l'arresto (fino a tre mesi) o con l'ammenda (fino a 309 euro) chi disturba le occupazioni o il riposo delle persone, suscitando o non impedendo “strepiti di animali”.
La Corte di Cassazione dice che per rispondere di questo reato non occorre la prova che il cane abbia effettivamente disturbato una serie vasta e indeterminata di persone, ma che è sufficiente l’idoneità (anche astratta) a disturbarle.
Naturalmente occorrerà, innanzitutto, che qualcuno si lamenti (ad es., di solito, con una denuncia o un esposto all’autorità di polizia giudiziaria).
Ovviamente tale idoneità al disturbo è sempre relativa e sarà il giudice a valutare la continuità, la durata, l’intensità acustica dell’abbaio e le caratteristiche di rumorosità generale della zona, prima di orientarsi verso la condanna e l’applicazione della sanzione. Lo farà tenendo sempre conto della famosa “soglia di normale tollerabilità”, peraltro variabile di zona in zona, come vedremo meglio più avanti.
La condotta che il proprietario o il custode del cane deve osservare è di non suscitare e, comunque, di impedire l’abbaio (la norma dice strepito… perché non pensa solo al cane, ma a qualunque animale possa far baccano).
Quanto alle modalità per impedire l’abbaio troppo insistente, il bravo Ezio Maria ne sa d’avanzo per consigliarvi metodi efficaci, sempre dolci e di assoluto rispetto per la natura del cane.
Si tratta di un reato di scarsa gravità, tanto che viene definito “contravvenzione” (i reati più gravi, invece, si chiamano “delitti”), per il quale normalmente i giudici penali non vanno al di là dell’ammenda (a meno di recidive…).
- In ordine alla responsabilità civile, la norma è quella dell’art. 2043 codice civile, che obbliga chi provoca a terzi un danno ingiusto a risarcirlo.
Si potrebbe immaginare, volendo, anche una responsabilità per omessa custodia, secondo l’art. 2052 codice civile, ma non mi risultano applicazioni di questa norma a casi di semplice molestia acustica da abbaio di un cane.
- In ordine alla responsabilità amministrativa, la fanno da padroni i regolamenti comunali che, spesso, disciplinano zona per zona le soglie massime di rumore tollerabile, a seconda che si tratti di zone residenziali, di zone industriali o artigianali o agricole, di zona ove vi sia un insediamento ospedaliero, ecc. Si tratta di soglie definite di solito in decibel, a volte per fasce orarie o giornate festive/lavorative. La fonte di rumore verrà normalmente fatta misurare con appositi apparecchi che si chiamano fonometri, normalmente in dotazione delle ASL, per confrontare i risultati (rumore di fondo, eventuali picchi e loro frequenza) con le soglie da non superare, fissate dai regolamenti comunali.
Cosa guarda un giudice.
Sotto il profilo penale, un giudice considera essenzialmente queste cose: il volume (intensità sonora) e la frequenza dell’abbaio, le sue cause (potrebbe essere indotto volontariamente da terzi), il rapporto con la rumorosità oggettiva media della zona e la soglia che lì sia eventualmente stata stabilità da norme o regolamenti. Ma la cosa più importante che il giudice valuterà è il comportamento del suo proprietario o custode: infatti ancorché ci si trovi davanti ad un cane particolarmente “abbaioso”, non sarà mai penalmente punibile il suo padrone che non ne susciti “gli strepiti” o che si adoperi in modo da cercare di impedirli, senza ovviamente commettere maltrattamenti ai danni dell’animale.
Sotto il profilo civilistico, accertato quanto sopra, il giudice potrà giungere alla condanna del proprietario ad un risarcimento in denaro in favore delle persone disturbate. Si tratterà normalmente di una somma contenuta, in quanto destinata a ristorare un danno di tipo non patrimoniale (connesso, appunto al disturbo arrecato). Il giudice la quantificherà secondo l’equità a lui rimessa. E’ praticamente da escludere, in questi casi, che possa sussistere un danno di tipo patrimoniale (legato cioè ad una precisa perdita economica, causata in modo diretto dall’abbaiare del cane).
Nessuna assicurazione, che io sappia, contempla espressamente tali tipi di danni. Proprio per questo, al momento buono la clausola di copertura dai danni cagionati dagli animali domestici, si potrà intendere estesa anche ad essi. Nemmeno qui mi risulta alcuna casistica specifica.
Vediamo infine, brevemente, che cosa può succedere al cane dopo che sia stata eventualmente accertata la eccessività (cioè intollerabilità) dell’abbaio. Posto che l’intervento chirurgico-veterinario sulle sue corde vocali è ormai severamente vietato dalla normativa europea ed interna (la stessa richiamata dalla circolare di cui al mio primo intervento su questa rubrica) e dunque non può essere imposto da nessuno, nei casi estremi possiamo immaginare un sequestro (eventualmente seguito da confisca dell’animale) con suo affidamento allo stesso proprietario o con allontanamento e affidamento a terzi (normalmente un canile). Ma nella mia personale esperienza non ho mai visto applicare le misure estreme (allontanamento e collocamento in canile) a casi di semplice abbaio molesto.
Concludo ricordando che quello del cane rumoroso può costituire un problema per i buoni rapporti di vicinato. Tuttavia per esperienza personale, tendo a dare molto peso alle condotte scatenanti commesse spesso proprio dagli stessi vicini che poi... si lamentano. E cito l’esempio di alcuni abitanti di un caseggiato a più piani che svetta su uno dei confini del mio terreno che ho colto più volte nell’atto di gettare i loro avanzi a tutti (indistintamente) i cani che ho avuto la fortuna e la gioia di possedere. Ogni volta li ho ripresi (naturalmente suscitando la loro indignazione “eh... che sarà mai... gli tiro un pezzetto di pane ogni tanto... è un cucciolo così carino”, salvo poi sorbirmi i loro bronci quando poi il cane, presto o tardi, magari con un vocione ormai adulto, si piazzava sotto la loro finestra -anche di notte- ad abbaiare insistentemente la sua richiesta di cibo “straordinario”...). E’ evidente che, in tali ed altri simili casi, i responsabili del disturbo (eventualmente verso altri terzi incolpevoli), saranno proprio coloro che con la loro dissennata condotta, hanno provocato il tutto.
Il cane da guardia e la legittima difesa
della casa e di chi vi dimora
Riprendo il filo del discorso a proposito degli elementi basilari di diritto che secondo me i proprietari di cani (massimamente di quelli da guardia), dovrebbero conoscere.
Giunge ora il momento di cercar di dare qualche utile risposta alla questione dei limiti di liceità a proposito dell’offensività che un vero cane da guardia è capace di mettere in campo, quando fa il lavoro che gli è proprio (e che è quello per il quale è stato scelto, tra tanti possibili cani).
In termini più diretti, la domanda suona più o meno così: “Ma poi, se alla fine sto cane che mi son messo in giardino parte e azzanna un malintenzionato che mi entra scavalcando o forzando la recinzione, mica poi salta fuori che sono responsabile io del suo danno fisico? Perché qua con certi garantismi non se ne capisce più niente!”.
Premesso che non ho alcuna intenzione, in questa sede, di farmi trascinare in polemica sul “garantismo” (concetto astratto e privo di significato se non approfondito a livelli che qui non sono proponibili), avverto che quel che dirò appartiene al terreno della pura esegesi (interpretazione) delle norme (da poco) vigenti in tema di difesa delle persone dai pericoli determinati dalle intrusioni potenzialmente aggressive nei luoghi di abitazione (o di lavoro).
Trattandosi di norme (relativamente) nuove, il “montaggio” interpretativo che propongo non mi risulta abbia ancora trovato specifiche applicazioni in qualche giudizio reale recente. Anzi, mi risulta che la giurisprudenza (che è l’insieme delle decisioni dei giudici) sia ancora piuttosto attestata sui suoi tradizionali assunti in tema di “legittima difesa”. Poco male, perché è normale che l’evoluzione giurisprudenziale ci metta un tot a metabolizzare le novità normative. Operazione sempre delicata e prudente perché implica l’armonizzazione delle novità al sistema delle leggi (e delle loro interpretazioni) che già c’erano. In definitiva, sono anche le riflessioni contenute in articoli come questo che, se raggiungono una sufficiente diffusione, possono incoraggiare o accelerare la svolta giurisprudenziale che, secondo me, ormai s’impone.
Dunque, prima di spiegarvi le novità normative di cui ho detto, portate pazienza e cercate di seguirmi nel percorso che parte, appunto, dalla rapida illustrazione della interpretazione tradizionale della questione, maturata nel sistema normativo anteriore a quelle novità.
Fin qui i giudici hanno sempre detto che affinché una difesa, lesiva di un diritto altrui, sia legittima, occorre che essa sia proporzionata all’offesa, o meglio, al pericolo di offesa che sia in atto. Per questo, presupponendo che chi entra in un’abitazione a scopo di furto metta in pericolo (solo) i beni patrimoniali di chi vi abita, la difesa contro il semplice ladro deve limitarsi a reazioni di scarsa offensività fisica, perché tra il valore della difesa delle proprietà (del derubato) e quello della vita o della integrità fisica (del ladro), quest’ultimo è pur sempre di rango superiore. Quindi sì a vetri spezzati sui bordi dei muri di cinta, a recinzioni moderatamente appuntite, a cani latranti e minacciosi… ma non troppo determinati. Diverso è, dicono sempre i giudici, se poi l’intruso si mostra aggressivo conto le persone, eventualmente presenti in casa, ché lì i valori in gioco tra “attaccante” e “difensore” si riequilibrano e dunque la posta si alza, insieme con la soglia di legittimità della difesa. Sempre comunque una questione di proporzionalità, valutata a posteriori, nella quiete di un processo che, a bocce ormai ferme, si deve comunque fare doverosamente carico di stimare anche l’incidenza dei fattori emotivi, influenti sulla capacità valutativa della vittima e determinati dalla sorpresa e dalla concitazione del momento (spesso notturno) in cui l’azione è avvenuta. E’ il concetto della putatività della legittima difesa e dell’eccesso colposo nella legittima difesa che, però, qui, non approfondiremo.
Tutto questo rappresentava, a grandi linee, la corrente linea interpretativa, perfettamente corretta nella vigenza della norma di diritto penale, regolatrice della legittima difesa (art. 52, codice penale), fino alla sua modifica, intervenuta con la legge 13-02-2006, n. 59.
Prima di vedere il contenuto di questa modifica, occorre però considerare un’altra precedente e importante novità normativa: sull’onda emotiva suscitata nell’opinione pubblica da alcuni fatti di cronaca che registrarono la continua escalation della violenza di tanti autori di furti nelle case e nei luoghi di lavoro, che pur di raggiungere i loro scopi, trasformavano il reato in una vera e propria rapina, il parlamento approvava la legge 26 marzo 2001, n. 128, che per la prima volta configurava il furto in casa come reato a sé stante, punito molto più gravemente di prima, quando la circostanza era considerata solo come una semplice aggravante.
Però: niente, la contromisura normativa si era dimostrata insufficiente. Il numero de furti in casa che degeneravano in rapina, o delle rapine in casa, progettate fin dall’inizio come tali, con azioni anche molto violente, spessissimo armate e a volte letali nei confronti degli abitanti, non accennava a flettere, anzi.
E’ solo a quel punto che, nel 2006, interveniva la riformulazione dell’art. 52, cod. pen. sopra menzionata.
In sintesi, siccome la regola della legittima difesa fin lì vigente affidava al giudice, caso per caso, il giudizio di proporzionalità tra il tipo di aggressione subita e l’autodifesa tentata a volte con successo dal rapinato, con gli esiti incerti e aleatori di ciascuna di tali complicate valutazioni, la novella ha sottratto al magistrato l’impaccio di questo bilanciamento e ha dichiarato per legge che è proporzionata la reazione armata, da parte di chi si trova un intruso in casa (o sul luogo di lavoro), vuoi per difendere la propria o l’altrui incolumità, vuoi per difendere anche soltanto i beni, propri o altrui, quando non vi sia desistenza e vi sia anche solo un pericolo di aggressione (armata o meno). Il che ha introdotto una sorta di licenza di sparare, dunque con possibilità di esiti mortali, nelle predette condizioni di pericolo (la cui effettiva sussistenza, poi, spetterà sempre ad un giudice di sindacare) determinate dall’intruso.
Una norma, come vedete, piuttosto forte; estranea alla tradizione giuridica italiana; imposta dall’escalation criminale che ho detto e -forse- anche dall’esito sconcertante di alcuni processi che avevano finito per porre sulla graticola più l’aggredito che l’aggressore (specie se, magari, quest’ultimo era rimasto vittima della reazione difensiva del primo, una volta tanto andata a segno).
Fin qui tutto chiaro, mi pare. Ma questo nuovo assetto della disciplina dell’autodifesa domestica, autorizzata per legge una volta per tutte, anche rispetto all’uso letale di un’arma da fuoco (legittimamente detenuta, ovviamente), non sposta forse -e di molto- anche i termini della questione dei limiti di legittimità dell’impiego difensivo del cane da guardia, per la medesima sicurezza domestica? Secondo me sì. E’ solo un problema di esatta considerazione in ordine alla sussistenza delle precondizioni di pericolo per l’incolumità dei dimoranti, che indefettibilmente si verificano in ogni caso di intrusione domestica a scopo furtivo. Dico “indefettibilmente” perché non c’è dubbio che chi s’introduce in casa altrui per rubare o comunque contro la volontà espressa o tacita di chi vi dimora, “non può non mettere in conto” (i giuristi chiamano questa volontà implicita o sottintesa “dolo eventuale”) l’elevato rischio di contatto e di conflitto fisico con costoro. Se, pertanto, il pericolo di aggressione fisica che è implicito e manifesto in tali frangenti, giustificherebbe di per sé l’uso di un’arma da fuoco, non si vede perché non debba giustificare il dispiegamento di un cane da guardia (peraltro, normalmente, meno letale di un arma da fuoco) e scriminare (cioè esentare da responsabilità) il proprietario, per ogni danno che il cane possa provocare all’intruso.
Anche il caso della violazione di domicilio che avvenga, in ipotesi, durante la momentanea assenza dei dimoranti non sposta, secondo me, il problema. Infatti, anche chi agisce dopo aver cercato di accertarsi che in casa non vi sia nessuno, non può in realtà escludere che, invece, qualcuno ci sia, né, tantomeno, che chi effettivamente non c’è non possa rincasare in qualunque momento, perdurante l’intrusione (e siamo nuovamente nel frangente del “dolo eventuale”). Un tanto, dunque, supera definitivamente l’argomentazione di chi, per ritenere legittimo il dispiegamento di un cane da guardia, pretende la condizione della presenza in casa di almeno un dimorante, diversamente escludendo la sussistenza della precondizione di pericolo di aggressione.
Quanto alla mancanza di desistenza e all’intenzione aggressiva, che legittima l’uso dell’arma, nel caso del cane, che certo non ha il discernimento di un ragioniere, saranno il numero e la chiarezza degli avvisi esposti sulla recinzione, che, una volta disprezzati dall’intruso, ne faranno presumere la determinazione offensiva.
Per questo torna necessario por mente ancora una volta alla stringente necessità che la presenza di un cane da guardia sia chiaramente rilevabile dall’esterno della recinzione, con avvisi di inequivoco significato, anche per chi non sappia leggere (i classici cartellini che raffigurino l’effige di un cane da guardia, non importa di che razza) vanno benissimo, perché occorre che sia chiaro che chi entra senza che vi sia un dimorante ad accoglierlo, lo fa a proprio completo rischio. Questo sarà sufficiente a far desistere dalla intrusione estranei inoffensivi (il classico ragazzino che vorrebbe scavalcare per recuperare il suo pallone, o le zingarelle minorenni che professionalmente tanto spesso, ma senza alcuna determinazione offensiva, entrano nei giardini per rubare nelle case, alle quali nessuno certo sparerebbe, ma che un cane da guardia purtroppo aggredirebbe senza porsi problemi.
Naturalmente un cane da guardia vigile e attento non mancherà di recarsi al recinto, preferibilmente e giustificatamente abbaiando, tutte e volte che un estraneo vi si attarderà: quello è proprio il significante contributo del guardiano alla conferma che gli “attenti al cane” appesi in bella vista non sono vuota scenografia. Sono il suo chiaro messaggio senza parole, che però, in tutte le lingue suonerà così. “Ehi tu, io ci sono per davvero e faccio assolutamente sul serio. Sono uno che abbaia per non doverti mordere. Se entri lo stesso significa che sei uno cattivo e allora te la vedrai con me che sono molto più tosto di te. Pazientino i vicini, in fondo sto lavorando anche per loro perché finché io sto zitto vuol dire che la zona è tranquilla e che tutti possono sentirsi sicuri!”.
La responsabilità penale per danni a terzi, cagionata dai cani da guardianìa di greggi e mandrie.
Rispondendo volentieri all’invito del preparatissimo autore di questo volume, mi accingo a fornire alcune nozioni di massima in ordine all’argomento di cui al titolo di questo paragrafo.
Si noterà subito che esso circoscrive queste note all’ambito della sola responsabilità penale.
Infatti, per la responsabilità civile (cioè meramente risarcitoria) per i danni cagionati a terzi, si può dare per scontato che tutti i pastori siano coperti da una buona polizza assicurativa, benché non si tratti di un’assicurazione obbligatoria per legge. Al proposito giova forse solo avvertire che praticamente tutte le compagnie assicurative escludono dalla copertura i cani appartenenti a determinate razze canine. Si tratta, in particolare, di un cascame pernicioso di quell’elenco di razze che erano state “messe all’indice” per la loro “pericolosità presunta” da una serie di ordinanze ministeriali di alcuni anni fa, poi ritirate in seguito a un’opportuna campagna di corretta informazione cinotecnica che convinse il ministero del fatto che non esistono razze canine che si possano presumere geneticamente pericolose, ma che occorre ragionare per singoli soggetti, indipendentemente dalla loro razza. Tuttavia, esattamente quell’elenco ministeriale, fu da allora inserito nelle polizze assicurative come elenco di “razze non assicurabili” per la responsabilità civile dei proprietari e non ne uscì più. Che si tratti di un inclusione ormai illegittima -perché fondata sul nulla- lo ritengo pacifico. Tuttavia avviso che tale illegittimità, in caso di problemi assicurativi per rifiuto della compagnia di risarcire un danno provocato da uno di quei cani, andrà sostenuta innanzi al giudice civile che dovrà applicare le leggi a tutela del consumatore (in questo caso l’assicurato), ingiustamente lasciato privo di copertura. Occhio, quindi, alla polizza, che va controllata per verificare se la razza del cane dei nostri amici pastori, sia o meno tra quelle che la compagnia cerchi (illegittimamente) di escludere dalla garanzia.
In ordine alla responsabilità amministrativa, è utile solo informare che si tratta di un tipo di responsabilità che comporta sanzioni di tipo pecuniario (comunemente, ma impropriamente, dette “multe”, mentre invece si chiamano “sanzioni amministrative pecuniarie”), che, a volte, possono arrivare a legittime azioni di sequestro amministrativo dell’animale, che viene avviato alla custodia di un canile pubblico o convenzionato con l’ente pubblico (solitamente comunale o provinciale).
Un esempio di queste è la responsabilità amministrativa (dunque non penale) da “omessa custodia e malgoverno di animali” (cani compresi), prevista dall’art. 672 codice penale, ma ormai depenalizzata fin dall’anno 1981 e trasformata, appunto, in illecito amministrativo.
Conviene comunque riprodurne il tenore:
Chiunque lascia liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti, o ne affida la custodia a persona inesperta, è punito con la sanzione amministrativa da € 25 a € 258.
Alla stessa sanzione soggiace:
1) chi, in luoghi aperti, abbandona a se stessi animali da tiro, da soma o da corsa, o li lascia comunque senza custodia, anche se non siano disciolti, o li attacca o conduce in modo da esporre a pericolo l'incolumità pubblica, ovvero li affida a persona inesperta;
2) chi aizza o spaventa animali, in modo da mettere in pericolo l'incolumità delle persone.
Va da sé che, essendo venute meno le ordinanze ministeriali che indicavano quali presuntivamente pericolose alcune razze di cani, la pericolosità dell’animale, di cui al primo comma (nella fattispecie, del cane) non può essere presunta, ma va dimostrata caso per caso, anche sulla sola base del fatto accaduto.
In tale responsabilità amministrativa si può incorrere anche se il cane non abbia morsicato nessuno. E’ sufficiente che si sia dimostrato, in concreto, pericoloso.
Giova ricordare che per tale responsabilità amministrativa non ci si può assicurare (insomma, la sanzione amministrativa si paga di tasca propria).
La responsabilità penale è invece quella che si distingue per il tipo di sanzione prevista dalla legge (detentiva e/o pecuniaria, sotto la denominazione di “multa” o di “ammenda”).
Per quel che qui interessa, possiamo menzionare la fattispecie di più comune ricorrenza, cioè la lesione all’incolumità di una persona, provocata dal morso del cane del pastore (indipendentemente che si tratti di un cane da conduzione o da guardia del bestiame).
Dico “incolumità di una persona”, perché restano escluse dalla responsabilità penale le ipotesi di danneggiamento di cose (per es. gli abiti del passante che vengano insozzati dal cane), in quanto ben difficilmente potrà trattarsi di danni che possano riferirsi ad un dolo (cioè a una volontà offensiva) del pastore (infatti il danneggiamento costituisce un reato solo se doloso). Resta altresì esclusa la responsabilità penale del pastore (come di chiunque altro), il cui cane, pur mal custodito, ma senza essere aizzato, aggredisca o uccida l’animale (per lo più un altro cane) di un terzo (in ipotesi un passante o un altro pastore).
Anche in questa ipotesi non ricorrono le violazioni penali di cui agli artt. 544 bis, codice penale (
uccisione di animali) e 544 ter, codice penale (
maltrattamento di animali), perché anche esse presuppongono il dolo (cioè la deliberata volontà del proprietario del cane aggressore di cagionare quegli eventi).
Nelle due dette ipotesi ricorrerà soltanto una responsabilità civile per danni, eventualmente in concorso con una responsabilità amministrativa. Ma non una responsabilità penale.
Torniamo quindi all’ipotesi di responsabilità penale per lesione all’incolumità di una persona, provocata dal morso del cane del pastore. Va da sé che essa ricomprende anche il malaugurato caso di uccisione della persona da parte del cane.
Qui si tratta in ogni caso di una responsabilità penale punibile anche se solo colposa, cioè provocata dal cane benché non aizzato, ma semplicemente non convenientemente custodito da chi lo conduce, eventualmente in concorso con il proprietario se questi abbia lasciato il cane (o i cani) a persona inesperta.
Quando una condotta si possa dire colposa, sotto il profilo penale, è qualcosa che la legge affida a criteri generali e astratti (la negligenza o l’imprudenza o l’imperizia, ovvero l’inosservanza di norme o di ordini o di discipline). Sarà poi il giudice penale che, di volta in volta e caso per caso, stabilirà, a posteriori, se l’evento si è verificato perché il proprietario del cane o il suo conduttore
, abbia peccato in concreto di una qualche negligenza, imprudenza, ecc. che, se osservata, avrebbe potuto impedire l’evento.
Di tutti i numerosi esempi che si potrebbero fare per esemplificare la sussistenza di ipotesi di colpa penale, mi limito a considerarne una che forse può interessare di più chi svolge ancor oggi, tra crescenti difficoltà d’ogni tipo, l’antichissima e insostituibile attività del pastore:
va escluso che si possa pretendere che al pastore durante il pascolo o la transumanza (intesa in senso lato come il trasferimento del gregge o della mandria da un luogo a un altro), come del resto al cacciatore durante l’attività venatoria, qualcuno possa legittimamente imporre l’uso del guinzaglio o della museruola. Anche in ordine a tali strumenti di buon governo del cane, si sono susseguite nel tempo diverse ordinanze ministeriali che ne hanno normato l’obbligatorietà e le caratteristiche (per tutte, si veda la più recente: Ordinanza del Ministro della Salute del 6-08-2013, pubblicata sulla G. Uff. del 6-09-2013 che, all’art. 1, comma 3 stabiliva:
Ai fini della prevenzione di danni o lesioni a persone, animali o cose il proprietario e il detentore di un cane adottano le seguenti misure:
a) utilizzare sempre il guinzaglio a una misura non superiore a m. 1,50 durante la conduzione dell'animale nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico, fatte salve le aree per cani individuate dai comuni;
b) portare con sé una museruola, rigida o morbida, da applicare al cane in caso di rischio per l'incolumità di persone o animali o su richiesta delle autorità competenti;
c) affidare il cane a persone in grado di gestirlo correttamente;
d) acquisire un cane assumendo informazioni sulle sue caratteristiche fisiche ed etologiche nonché sulle norme in vigore;
e) assicurare che il cane abbia un comportamento adeguato alle specifiche esigenze di convivenza con persone e animali rispetto al contesto in cui vive.)
Tuttavia, opportunamente, come dicevo, ad esentare i pastori e i cacciatori dagli obblighi di cui alle lettere a) e b) del predetto articolo (cioè dagli obblighi di usare guinzaglio e museruola per i loro cani), provvedeva il successivo art. 5, comma 3, che recitava:
Le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 3, lettere a) e b), non si applicano ai cani a guardia e a conduzione delle greggi e ad altre tipologie di cani comunque individuate con proprio atto dalle regioni o dai comuni.
Giova puntualizzare che l’ordinanza in parola pur di validità temporanea (aveva durata di un anno) è stata reiterata reiterata di anno in anno, tanto che l’ultima, emanata nel 2018 è appena scaduta (il 29 agosto 2019) e non mi risulta sia stata ancora rinnovata.
Da anni si attende una normativa di legge di carattere organico sulla materia.
Quindi, se i cani del pastore, durante la loro attività di custodia e/o di conduzione delle greggi (ma, direi anche delle mandrie), dovessero per avventura aggredire e ledere l’incolumità di una persona, la colpa del pastore non potrà certamente riferirsi alla violazione di un obbligo di guinzaglio o di museruola che, anche aldilà del tenore delle ordinanze ministeriali, peraltro oggi scadute, risulta inconcepibile per lo stesso contesto operativo del cane.
Tale contesto, del resto, era opportunamente considerato per valutare le caratteristiche del controllo esigibile da un pastore sui suoi cani, anche dalla lettera e) della suddetta ordinanza ministeriale, nelle sue ultime parole (si vedano sopra).
Non c’è dubbio che tale riferimento al contesto operativo del cane del pastore, benché espressamente contemplato da una ordinanza ormai scaduta, non potrà che guidare il buon giudice che dovesse occuparsi di qualche caso concreto di aggressione a persone (per esempio i passanti o i turisti degli alpeggi) a considerare, per l’appunto, “il contesto in cui vive il cane”, per operare tutti i distinguo del caso, compresi i comportamenti specifici di chi abbia subito l’aggressione, ove siano essi stessi stati la causa o la concausa dell’aggressione subita.
Per concludere, va anche avvertito che ogni tipo di responsabilità (civile, amministrativa, penale), secondo la legge italiana può ben concorrere con le altre, se il caso concreto lo ammette.
Tuttavia, secondo recenti pronunce di una Corte europea (la c.d. CEDU) non sarebbero legittime le norme italiane che prevedano una doppia sanzione pubblica (penale più amministrativa). Ma questa è un’altra storia…