(VIDEO) Dopo circa 5 ore d'automobile da Zurigo, si arriva a Merzig, un comune di oltre trentamila abitanti che si trova in Germania, nello Saarland, poco a sud del Lussemburgo. Merzig è una bella cittadina con un piccolo centro storico molto caratteristico ed è proprio a pochi minuti di lì che si trova il Wolfspark Werner Freund.
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Fino a pochi minuti prima di entrare nel parco non sentii nessuna particolare emozione, ma questo fa parte del mio carattere, io non penso mai troppo a cosa dovrà avvenire in futuro, ma non appena vidi le indicazioni con la figura dei lupi iniziai a sentire la tipica eccitazione che mi prende quando sto per avvicinarmi a qualche avvenimento importante.
Anche in Asia centrale, quando nel deserto o sulle montagne vedo un gregge in lontananza e sento i tipici cani da pastore aborigeni che abbaiano, quelli che per vederli e fotografarli ho fatto tanta strada e magari sono alcuni giorni che li cerco senza trovarli, mi prende una sorta di piacevole ansia. Inizio ad essere agitato, mi dimentico di dove sono, in quell’istante posso smarrire ogni cosa (e succede spesso) in quanto vengo rapito da un magico entusiasmo. Infatti risultano sempre molto utili i miei compagni di viaggio che fortunatamente mi raccattano quanto "semino" in giro. Se ho una giacca in mano la poso nel prato, sfodero la macchina fotografica e lascio cadere la sua fodera dove mi trovo, non parliamone se ho il cappello, appena sento caldo me lo tolgo e lo lascio ovunque senza manco rendermene conto. Poi avviandomi verso l’obiettivo inizio a pensare: “Ci sarà ancora abbastanza ricarica nelle batterie per poter fare un filmato o sarà meglio solo fare alcune fotografie che potrebbero servirmi per il libro?”. E man mano che mi avvicino al gregge mi assale l’indecisione e prima di arrivare cambio ancora idea almeno dieci volte, facendo ruotare in continuo il cursore della mia “povera” fotocamera. A volte elaboro invece grandi pasticci, filmo credendo di essere in pausa e arresto la ripresa nei momenti più importanti. Sbaglio la programmazione dei formati, la messa a fuoco, lo zoom e tante altre cose, tant’è che cosa riesco a “portare a casa” è sempre molto meno di quanto ho invece visto con i miei occhi.
Eravamo ormai arrivati, ma in effetti nessuno ci stava aspettando, non avevamo alcun appuntamento con Werner Freund, anzi lui aveva detto a Paolo che per dedicarci una mezzora del suo tempo saremmo dovuti venire il mese successivo e non a Marzo. Ma io avevo invece deciso di partire comunque pensando: “Magari ci saranno dei suoi assistenti che potranno darmi le spiegazioni che sto cercando, se poi invece riuscirò almeno a salutarlo, per questa volta sarò già contento”.
In ogni caso adesso mi trovavo lì e quindi dovevo fare il mio meglio per ottimizzare tutta la fatica del viaggio e cercare di avvicinare questo “vecchio” uomo-lupo.
Il Wolfspark è molto esteso ed organizzato con delle strade che costeggiano tutto il perimetro delle varie recinzioni (molto grandi) dove vivono svariate specie di lupo. Alla domenica è frequentato da molte famiglie con bambini di ogni età, come avviene in qualsiasi altro giardino zoologico, con la differenza che l’ingresso a Wolfspark Werner Freund è completamente gratuito.
Come da programma Werner Freund sarebbe arrivato dopo le 16,00, ma già alle 15,00 noi eravamo super agitati ed indecisi su cosa sarebbe stato meglio fare: aspettarlo nel luogo dov’era prevista al sua esibizione o cercare di "bloccarlo" prima?
I lupi si dimostravano indifferenti agli spettatori che li guardavano con interesse, molti di loro erano coricati per riposare e solo pochi erano visibili da vicino.
Un ometto anziano aveva appena improvvisato una bancarella dov’erano adagiati alcuni libri scritti da Werner Freund, un po’ di fotografie di lui con i lupi, qualche adesivo e alcuni portachiavi. Io mi avvicinai ed iniziai a dire: “Questo lo prendo, quello anche, poi prendo questo ed anche quest’altro”. E feci la stessa cosa con le fotografie. Parte della rimanenza l’acquistarono i miei compagni di viaggio e la piccola bancarella rimase quasi sfornita. Nel frattempo io dissi a Paolo: “Dai, chiedigli dov’è adesso Freund, digli che siamo Italiani e che siamo venuti apposta per parlare con lui”. Paolo partì nuovamente a contorcersi con quell’incomprensibile linguaggio mente l’ometto lo fissava con il tipico sguardo di chi, essendo domenica, non aveva omesso di riempirsi più volte il bicchiere durante il pranzo e quindi il metabolismo faticava l’immediata reazione. Poi partì anche lui con un lungo monologo finché riuscii a capire “Gina Lollobrigida”. Paolo rifece una domanda ed il vecchietto diede una brevissima risposta. Paolo si girò verso di me e disse: “Di tutte le domande che gli ho fatto, non mi ha risposto minimamente, mi ha invece raccontato che quando era giovane era venuto in Italia ed era stato in Sardegna dove aveva mangiato tanto pesce, poi mi ha parlato di qualcuno che ha girato un film con Gina Lollobrigida, io gli chiesto se era Werner e lui mi ha risposto che mi stava parlando di un suo amico francese! Non credo sia troppo in forma, da questo non ne ricaviamo nulla”.
Poco prima dell’ingresso avevamo visto due case di legno, una con alcuni soggetti di lupo bianco chiusi in una recinzione adiacente alla strada ed un’altra più scostata. Anche quest’ultima riportava alcune sagome di lupo affisse sulla facciata e quindi entrambe potevano essere quella dove viveva il mitico Werner Freund. Ma mica potevamo andargli a bussare la porta e dirgli: “Siamo arrivati, ci stava aspettando?”. Lui era stato molto chiaro ed era scritto ovunque che non erano possibili colloqui privati.
Mi tenevo al fianco Paolo che era il mio unico veicolo comunicativo con quell’ambiente, dove non riuscivo a capire manco una parola e la mia testa stava già lavorando a pieno regime per capire quale sarebbe stata la strategia migliore che ci consentiva di trasgredire ogni regolamento tedesco e riuscire invece nel nostro intento. Qualcuno di noi disse che forse la casa sarebbe stata quella vicina al piccolo recinto dei lupi, in quanto era facile immaginare Freund che non ancora sazio di tutti quelli del parco, magari se ne teneva qualcuno più a portata di mano.
Se fossimo riusciti a sapere quando usciva di casa per recarsi al parco, avremmo cercato di fermarlo ed io, tramite Paolo, gli avrei spiegato che non ero un qualsiasi visitatore della Domenica, ma che avevo qualcosa di importante da chiedergli.
Quando avevo incontrato per la prima volta Shaun Ellis, per me fu come aver ritrovato un compagno lungo una strada che stavo percorrendo da solo e contro tutti, ormai da molto tempo. Molte cose che lui mi stava spiegando, erano le stesse che io avevo intuito con la mia semplice pratica di anni al fianco di cani di fortissimo carattere. Tutto quanto avevo sempre letto sui libri, su molti siti internet, sulle riviste cinofile, non funzionava con i miei cani e cosa applicavo da tempo l’avevo imparato per semplice intuizione e dopo alcune solenni morsicate che loro mi avevano infierito per insegnarmi qual’era la strada giusta da percorrere. La cinofilia "ordinaria" mia aveva invece insegnato che il soggetto “alfa-capobranco” era il capo che doveva imporre con polso ogni regola che il cane obbediva senza discutere, ma io non avrei mai potuto sopravvivere applicando quei sistemi con certi miei soggetti. Dopo vari tentativi mi convinsi che chiunque avesse pensato di trasformare tutte quelle scemenze in una raffinata teoria, era solo perché aveva sempre gestito dei cagnucoli da salotto, anche se appartenenti a razze conosciute come particolarmente pericolose. Ma con i cani VERI tutto quello non funzionava.
Invece con Shaun Ellis avevamo parlato a lungo di chi era il lupo “Alfa” ed è proprio in rispetto di questa AUTENTICA figura di capobranco che prese vita in forma definitiva tutto quanto io applico attualmente con successo ed insegno nei miei corsi. Anche lui approvava in toto quanto stessi sperimentando da anni, praticamente da autodidatta, per gestire al meglio i miei cani.
Ma io che non sono mai sazio di ricercare la più autentica verità, ero venuto fin qui, addirittura prima del previsto, proprio per avere un’ulteriore conferma anche da Werner Freund, ad oggi l’uomo-lupo più “vecchio” del mondo, su chi era secondo lui il soggetto “Alfa”. In base alle sue risposte, io avrei avuto un’ulteriore rassicurazione se stavo percorrendo la giusta strada con i miei cani o se qualcosa avrebbe necessitato di modifiche. Ed è anche per questo che mi sentivo nuovamente percorrere da una stranissima ed insolita ansia. Anche se fino ad oggi le mie teorie avevano sempre funzionato, non potevo sicuramente escludere che qualcosa dovesse essere variata.
Sembrerà strano e non vorrei sembrare polemico, ma debbo dire che molte risposte alle mie domande, rivolte in passato ai vari personaggi definiti dalle Regioni come “lupologi” e incaricati dalle stesse per occuparsi dello studio sul predatore selvatico che ripopola da anni alcuni parchi d’Italia, furono sempre molto evasive, quasi prive di significato e dette solo per non tacere.
Anch’io sono convinto come Shaun Ellis e Werner Feund che per conoscere i lupi è necessario vivere con loro e non solo corrergli dietro dopo avergli installato un radio collare, come fanno la maggior parte dei “ricercatori” ufficiali pagati dallo Stato. In più questa volta c’era anche di mezzo una laurea in zoologia di questo eclettico personaggio tedesco e quindi le sue considerazioni sarebbero state fondamentali per lo studio che svolgo da anni sul comportamento dei miei cani.
Ero già un po’ demoralizzato e temevo che sarebbe stato un viaggio inutile, quando ad un tratto vidi i due lupi che stavano nel recinto di fronte alla casa di legno, cambiare improvvisamente atteggiamento e direzionarsi con entusiasmo vicino ai bordi della recinzione, quasi come fossero cani in cerca del padrone.
Mi girai e vidi un uomo alto con un cappello in testa ad ala larga che dalla strada parlava con quei due lupi bianchi. La prima cosa che feci fu subito quella di dire a Paolo: “Questo conosce sicuramente Werner Freund, dai, vai a dirgli qualcosa!”. E il pazientissimo Paolo si rivolse a quell’uomo ricominciando con il suo discorso in tedesco, come “previsto da copione”: “Siamo venuti dall’Italia per incontrare Werner Freund….. etc,etc.”. L’uomo parlò un po’ fin quando Paolo si rivolse a me dicendomi: “Lui è un assistente di Freund e mi ha detto che preferirebbe parlassimo direttamente con Werner, l’unico problema è che ieri era il suo compleanno, ha compiuto ottant’anni e allora oggi è un po’ stanco perché hanno festeggiato, quindi è andato a riposarsi. In ogni caso adesso lui va dentro e gli chiede come possiamo fare, poi esce per darci la risposta. Forse ci siamo!”.
Come fossimo stati quattro bambini di pochi anni, il sorriso spuntò immediatamente sulle nostre labbra e fummo presi da un’immediata eccitazione. Io guardai i due lupi mentre seguivano con lo sguardo l’uomo che si allontanava. Qualcuno disse che l’aveva visto ad entrare nel cortile, altri di noi non ne erano più certi, fatto sta che l’uomo scomparve e nessuno venne più fuori per darci alcuna risposta. Nel frattempo erano già quasi le 16,00, l’ora che Werner Freund avrebbe dato inizio alla sua unica dimostrazione mensile e quindi decidemmo di incamminarci verso l’interno del parco dove di trovava l’ometto con la bancarella, il luogo più probabile dove si sarebbe svolto l’atteso “spettacolo”.
Pensammo tutti che era stata una probabile strategia di quel collaboratore di Freund per liberarsi di noi, ma in fondo lo capivamo, chissà quante volte le persone avevano stazionato fuori di quella casa per parlare con il mitico uomo-lupo.
Sarà perché non era a pagamento ma, nel luogo del Wolfspark dove si sarebbe svolta la sua interazione con i lupi, si era già ammassata una notevole folla di persone. Intere famiglie con bambini di ogni età, compresi quelli molto piccoli seduti nel passeggino e accuratamente imbacuccati, vista la rigida temperatura inferiore allo zero, nonostante fossero solo le 16,00 di un soleggiato pomeriggio di Marzo.
Capii subito che mi sarebbe stato impossibile fare i filmati che desideravo, poichè ci trovavamo almeno in terza fila rispetto a tutti coloro che si erano ormai disposti lungo la staccionata che confinava con il luogo dove Freund avrebbe fatto la sua "esibizione".
In Germania Werner Freund è molto conosciuto, credo che le televisioni tedesche ne parlino spesso, tant'è che rappresenta già per molti una sorta di “Guru indiano” e solo per vederlo all’opera, arrivano con molto anticipo da ogni parte della nazione ad attendono ore il suo arrivo. Il luogo dove si esibisce è composto da una sorta di bussolotto in rete metallica, da dove lui entra per poi aver accesso alla recinzione dei lupi. Prima della sua esibizione una collaboratrice da un po’ di cibo agli animali e poi lui entra con le sue porzioni porgendogliele con la bocca. Il tutto è preceduto da un lungo monologo in tedesco che Freund rivolge al pubblico, interrotto da alcune domande che le persone possono fargli ed alle quali lui risponde cordialmente, spesso causando fragorose risate fra gli spettatori, tutto in una lingua a me completamente sconosciuta.
Ad un certo punto i lupi iniziarono ad agitarsi molto ed a sfrecciare nel bosco ad una velocità impressionante, facendo capire subito a tutti qual'è l’efficacia di questo predatore selvatico e quante poche chance possa riservare alle prede durante le sue azioni di caccia. Qualcuno sostiene addirittura che in certi casi possa quasi tramortire la sua vittima con il solo impatto ed io ci credo, in quanto ho visto più volte in Asia centrale alcuni semplici maschi di pastore aborigeno corrersi incontro per litigare ed il rumore scaturito nel momento dello scontro fra i due animali è possibile sentirlo anche a più di cento metri. Quindi credo che i lupi sappiano fare ancora meglio.
Poco dopo notammo due automobili che stavano salendo lungo una delle strade che delimitavano le recinzioni, sulla prima c’era Werner Freund con lo stesso uomo che avevamo visto a parlare con i due lupi bianchi rinchiusi nella recinzione, vicino alla casa di legno. Mentre nella seconda, una ragazza che avremmo poi conosciuto come una delle due più strette collaboratrici dell’uomo-lupo che finalmente potevamo vedere di persona.
Io mandai subito Paolo a parlare con quell'uomo che fungeva da autista, per chiedere qual’era stato il responso di Werner Freund, lui ci rispose molto gentilmente che alla fine dell’interazione, avremmo avuto un po’ di minuti per rivolgergli le nostre domande. Quindi nulla di diverso da quanto stabilito dal regolamento.
La sua esibizione durò per una mezz’ora circa, poi la ragazza salì in automobile per ritornare da dov’erano arrivati e nel frattempo le persone iniziarono a rivolgere alcune domande che Paolo mi diceva essere le solite che potrebbero fare i comuni visitatori di uno zoo.
Dopo pochi minuti la ragazza ritornò sul luogo ed alla sua vista, Werner Freund aprì il cancelletto della staccionata che lo divideva dalla folla per direzionarsi verso la sua automobile. Io pensai che tutto era finito in quanto alcuni partecipanti si stavano già allontanando, ma Paolo mi riferì puntualmente che si sarebbe tenuta una seconda interazione in un’altra recinzione più a monte e che la ragazza era andata a prendere un animale intero per darlo in pasto ad un altro branco di lupi.
La seconda esibizione durò un po’ meno, tra l’altro il sole stava già scomparendo alle spalle di Freund facendo scendere rapidamente la temperatura di atri gradi sotto zero ma, a causa dei suoi ultimi raggi abbaglianti rivolti proprio nella nostra direzione, non ci permetteva di vedere bene quanto stava facendo l’uomo-lupo, né tanto meno scattare buone fotografie.
Poi Werner Freund uscì dalla gabbia ed una lunga fila di persone si dispose ordinatamente lungo la staccionata per avere un suo autografo o una dedica sui libri. L’operazione durò parecchio tempo, tanto da farmi pensare che saremmo poi stati liquidati in pochi minuti.
Ad un certo punto rimanemmo quasi soli con Freund ed il suo staff e fu li che il suo collaboratore fece un cenno a Paolo che avremmo potuto iniziare a fargli le domande che volevamo.
Io avevo escogitato l’unica strategia che mi fosse venuta in mente nei giorni precedenti alla visita del Wolfspark, ovvero quella di presentarmi con il mio libro fotografico, contenente tutte le fotografie dei cani ripresi nei vari stati dell’Asia centrale e dirgli che era un regalo che gli volevo fare, visto che pensavo potessimo avere molte cose in comune: lui viveva da tempo coi lupi ed io allevavo i più audaci difensori di greggi che esistessero al mondo e la mia selezione era sempre stata rivolta unicamente al loro carattere. Quindi avevo bisogno anche dei suoi consigli per conoscere e studiare meglio i miei cani da guardia.
Paolo partì con il suo discorso secondo le mie istruzioni, Werner Freund prese in mano il libro, mi guardò e mi strinse la mano, ma nulla più. Il discorso che gli era appena stato fatto non l’aveva interessato minimamente né tanto meno aveva fatto cenno di aprire il mio libro, poi disse qualcosa a Paolo che mi tradusse: “Puoi fagli le domande che vuoi”.
La mia prima domanda prima fu: “Secondo lei, il lupo alfa, nasce già alfa o lo diventa in seguito in base alla sua scalata gerarchica che riesce a fare nel branco?”.
Paolo mi fece la traduzione e subito dopo Freund girò la testa verso di me come per guardarmi meglio, assunse un atteggiamento più favorevole nei miei confronti e partì con un'esauriente risposta di cui aspettai la traduzione. Poi feci altre domande di cui ebbi la sue risposte, non tutte molto comprensive, capimmo subito che Freund non era un uomo che si era fatto molte domande sui lupi, ci era convissuto per 40anni e basta (oppure non voleva regalare ad altri troppe spiegazioni). Probabilmente quando aveva commesso degli errori li aveva pagati in prima persona ed è proprio da quelle “scottature” che aveva imparato come interagire con i suoi lupi. In effetti credo anch’io che nulla sia meglio dell’esperienza diretta, cosa praticata pochissimo dalla maggior parte dei cinofili.
Ad un certo punto riuscii ad intuire in una sua risposta il temine “Karakol” (che è una città del Kirghizistan ai confini con la Cina) ed allora gli toccai una spalla esultando: “Ja! Karakoll, Kirghizistan!”. Avrei voluto continuare nel discorso ma non sapevo dire altro che “Ja!”. Chiesi allora a Paolo di dirgli che ero stato in Kirghizistan solo l’anno scorso e che i cani che allevo io, lavorano ancora con i pastori anche in quello stato dell'Asia centrale. Paolo finì la sua traduzione ed io aggiunsi ancora: “Ovcharka!”. Freund mi guardò e disse anche lui: “Ja! Ovcharka!”. Gli feci chiedere subito se i lupi hanno paura di questi cani e con un sorriso Freund rispose: “Nein!” E continuò con un discorso che Paolo mi tradusse quasi simultaneamente. Freund diceva che parecchi anni fa aveva conosciuto nei pressi di Karakol un pastore che non utilizzava gli ovcharka ma solo dei cani meticci molto piccoli. Lui gli aveva chiesto perché non teneva più i cani grandi per proteggere le pecore ed il pastore kirghiso gli aveva risposto che ne aveva avuti molti ma che i lupi se li erano sempre mangiati tutti. Oggi preferiva avvalersi di piccoli meticci che avevano solo più la funzione di abbaiare ed avvisarlo di notte, poi usciva lui con il bastone e il fuoco per cercare di allontanare i predatori. Aggiunse che contro un branco di lupi non vi erano cani da pastore che potevano competere. Appena capita la traduzione in italiano, non sapendo dire altro, annuii nuovamente dicendo ancora il mio “Ja” e volli che Paolo gli confermasse che ero assolutamente d’accordo con lui. Poi continuai ancora con le mie domande fin quando poi, maliziosamente, gli chiesi se era possibile, secondo lui che un essere umano potesse avvicinare un branco di lupi selvatici nella foresta e viverci in stretto contatto per un anno e mezzo. Lui mi diede un’esauriente e meticolosa risposta ma che preferisco non riportare.
Ad un certo punto notai in Freund una strana espressione, quasi come fosse sinceramente dispiaciuto che la nostra diversa lingua non ci permettesse di dialogare. In ogni caso era ormai stato preso anche lui dall’entusiasmo e non si era più curato né del tempo, né dei suoi collaboratori che assistevano incuriositi alla nostra lunga conversazione. Stava già quasi scendendo la sera quando si girò di scatto verso la sua collaboratrice e gli disse qualcosa, poi si voltò verso di me pronunciando faticosamente: “Licia Colò, Kilimangiaro!”. E Paolo mi disse che Werner Freund era stato ospite in Italia ad una trasmissione condotta da Licia Colò e che adesso la sua collaboratrice mi avrebbe regalato il DVD con una copia della registrazione.
Ci salutammo a malincuore, ero certo anch’io che adesso il “selvatico” Werner Freund sarebbe stato ancora lì per molto a parlare con me e sono sicuro che se avessimo potuto capirci mi avrebbe preso in disparte per dirmi molto di più.
Salì quindi sull’automobile guidata dal suo collaboratore e si allontanò lungo la stradina sterrata che costeggiava le recinzioni dei suoi lupi.
Paolo prese accordi con quella ragazza che ci avrebbe dato gentilmente il DVD della trasmissione, come da “ordine” dal mitico Werner Freund, l’uomo-lupo più “vecchio”del mondo.
Noi credevamo che ormai la giornata al Wolfspark sarebbe finita lì ed eravamo già molto soddisfatti di quanto era accaduto, avevo potuto dialogare in privato con Werner Freund ottenendone alcune risposte di cui ne avrei fatto prezioso patrimonio ed invece...., la parte più entusiasmante doveva ancora da arrivare, ma questa ve la racconterò nella prossima puntata!
Per adesso guardatevi la registrazione del programma “Alle falde del Kilimangiaro” dove Werner Freund fu ospite poco tempo fa. Alcune cose che sentirete dal traduttore non corrispondono proprio esattamente a quanto lui intendeva dire e appaiano a volte un po’ prive di significato, ma tutto questo è comprensdibile per chi debba tradurre in italiano uno specifico argomento che non conosce in modo approfondito (il traduttore non può anche essere un esperto di lupi). In ogni caso credo che vi piacerà ugualmente!